“L'artista innanzitutto impara dagli antichi maestri, poi dalla natura e, infine, dal proprio cuore.”

SATYAM

Nato a Treviso, inizia a quattordici anni a disegnare e a dipingere. All’inizio degli anni settanta insieme a un piccolo gruppo di giovani artisti trevigiani frequenta lo studio del pittore Giovanni Biasi, un allievo di Vizzotto Alberti della scuola di Fattori. Da questa frequentazione nasce il “collettivo d’arte” che organizza una mostra a Ca’ dei Ricchi nel 1972.

Già in quegli anni comincia a sperimentare tecniche polimateriche miste, pur rimanendo nel campo espressivo figurativo. Nel suo fare, proseguendo nel tempo, coesistono arricchimenti culturali radicati sia nella formazione umanistica e filosofica, con laurea a Venezia, sia nei successivi approfondimenti di psicologia e nelle esperienze maturate durante ripetute permanenze in India. Qui nel 1980 è avvenuto l’incontro con il maestro spirituale Osho, dal quale è stato chiamato con il nome Satyam, che in sanscrito vuol dire verità: non una verità con la “V” maiuscola, non un quid assoluto e rigido, ma “la” verità del momento, la “propria” individuale verità, qualcosa di semplice e autentico.

Nel secondo millennio la ricerca artistica si attesta man mano su studiate scelte cromatiche, con composizioni elaborate accostando elementi del mondo naturale a oggetti d’uso dismessi o dimenticati e ritrovati per caso, che ancora l’artista continua a riciclare per creare opere in cui oggi l’aspetto formale si fonde con il contenuto.

NERO E ORO

Ci sono momenti in cui sento il desiderio di creare qualcosa, in solitudine.

È la forma di meditazione che preferisco: nessuno intorno, né dentro, né fuori. Il tempo e lo spazio assumono un altro significato, o nessun significato.

Nel mio cuore scende il silenzio e da lì entra nel lavoro.

C’è stato un periodo in cui sono stato attratto dal nero, che evoca il silenzio, lo spazio, la profondità, unito all’oro, un invito a sciogliersi, a fondersi con l’altro.

NATURA VIVA

Talvolta il lavoro diventa come una danza. Dapprima dispongo tutto intorno a me vecchi oggetti, la maggior parte cose scartate, spesso rifiuti dalla spazzatura. Poi mi diletto a dare loro una seconda possibilità di vita. Creo, dentro a delle scatole di legno, uno strato di malta nel quale gli oggetti affondano, riaffiorando solo nella parte superiore. Una volta appoggiati, non posso più spostarli. Così devo essere veloce, senza dare alla mia mente lo spazio per inserirsi.

OMAGGIO A MORANDI

Le scatole diventano “drop box”, cassette per il deposito di oggetti.

Altre volte continuo a mettere sopra i singoli oggetti vari strati di materia, finché il risultato diviene piacevole ai miei occhi e mi soddisfa.

La creazione non inizia, come la maggior parte delle persone immagina, di fronte ad uno spazio vuoto da riempire di forme e colori. Per me comincia quando sto passeggiando e un sassolino, una foglia, un pezzo di legno o qualsiasi vecchio oggetto mi chiamano, chiedendo di essere presi in considerazione, di essere riportati a nuova vita.

MISCELLANEA

Ecco come, per esempio, una pietra rotonda con un foro nel mezzo, ospita un ramo secco, levigato e curvato dalla forza del mare, divenendo il centro di cerchi di foglie secche danzanti: una sorta di sinfonia d’autunno.

Una vecchia bottiglia di vetro si divide in due: una foto e una immagine tridimensionale; una dimensione giocosa in cui la cosiddetta realtà e l’immaginazione si riescono a distinguere a fatica.

Una caffettiera fuori uso, rivestita di un abito dorato, fa traboccare un finto zampillo di caffè.

Una sfera e un cono di legno con una falce arrugginita su un fondo azzurro chiaro divengono uno scenario da favola.

PRIMI LAVORI | ANNI 70

Ad un certo punto, così come in passato la tela era uno spazio troppo limitante, anche le scatole diventano troppo strette e gli oggetti iniziano a fuoriuscire dai bordi: rami, radici, materiali vari salgono ed escono, cercando di raggiungere la vita, il cielo, e, alla fine, chi li sta guardando.

Già negli anni settanta oltre a sperimentare pitture materiche, avevo iniziato a inserire elementi tridimensionali e oggetti. La tela non più mero supporto al pennello, diventa contenitore/cornice.

PRIMI LAVORI | ANNI 80

Abbandonata la tela anche nel suo nuovo utilizzo, passo decisamente a inserire oggetti in scatole di piccole dimensioni, che si ispirano a quelle famose di Joseph Cornell, di cui ho la fortuna di vedere una mostra antologica a Firenze proprio nel 1981. Ne nasce una piccola serie che, anche se ancora affiancata da lavori pittorici, col tempo avrà un peso dominante.

PRIMI LAVORI | ANNI 90

Continuo ad affiancare collage e opere tridimensionali a dipinti su tela e su tavola. Questi ultimi ripropongono una caratteristica degli anni precedenti: la cancellazione di dettagli, soprattutto nei ritratti. Anzi questo tratto diventa ancora più accentuato, con l’intenzione di invitare chi guarda ad una partecipazione attiva. Secondo me ogni espressione artistica diventa viva, nell’incontro e nella fusione tra autore e spettatore.

PRIMI LAVORI | 1979 TAROCCHI

Nel 1979 disegno gli arcani maggiori, ispirandomi a immagini tratte dalle opere di Hieronymus Bosch, come dono di compleanno ad un amico appassionato di Tarocchi. Più della realizzazione degli stessi, conta l’idea di riscoprire nelle opere del pittore fiammingo immagini che rendono con forza e incisività gli archetipi dei tarocchi.

(Queste immagini, mai esposte, sono pubblicate su questo sito per gentile concessione del proprietario.)

RITRATTI DI ARTISTI

Artista non è solo chi crea, ma colui che guarda con occhi innocenti, con la curiosità di un bambino. Si può vedere l’arte in una macchia, in una crepa sul muro, in un fiore schiacciato o una foglia per terra, nella ruga di un volto antico in grado di vincere la sfida con una bellezza convenzionale.

SPIRITUALITA'

Poi è arrivato il bianco sporco e, al di là delle apparenze, mi ha affascinato con la sua grande ricchezza di infinite tonalità e sfumature. Nella sua semplicità è più variopinto di qualsiasi altra gradazione dell’arcobaleno.

Così ho iniziato ad usare tecniche miste: colori ad olio e ad acqua, cera, smalti, gommalacca, bitume e poi sabbia e ogni diversa combinazione di altri materiali.

Questa matericità, per contrasto, diviene più rarefatta: un invito all’introspezione, alla ricerca della propria natura essenziale.

TEMI SOCIALI

La sperimentazione è l’unica costante di un “lavoro in corso” senza fine.

Persino dall’errore in una nuova combinazione di sostanze, talvolta nasce una nuova idea.

Il rilassamento e l’eccitazione procedono mano nella mano, in un carnevale di gioia.

Mi auguro di riuscire a trasmettere un barlume dell’amore appassionato per il mio lavoro con l’ impatto visivo delle immagini, ancora più di quanto riescano a farlo le mie parole.